Letteratura migrante: l'Italia che si riscopre terra d’approdo.

La produzione letteraria degli scrittori migranti si è sviluppata a partire dalla fine degli anni ‘80. Secondo Armando Gnisci, importante studioso di letteratura comparata, si possono distinguere tre fasi caratteristiche attraverso un percorso di crescita che va dall’autobiografismo, mediato da altri co-autori, alla conquista di un proprio ed originale linguaggio, fino agli scrittori di seconda generazione.

(In foto Jerry Essan Masslo: 1959 Sudafrica, Umtata - 1989 Italia, Villa Literno)

Nel 2016 in Italia sono approdati più di 180mila stranieri: la particolare collocazione geografica del Paese rende il fenomeno migratorio tanto multiplo e complesso come in nessun altro Stato europeo. Infatti, a sbarcare sul tacco siciliano del continente, uno dei punti privilegiati per l’immissione in Europa dalle aree più meridionali, sono sia rifugiati in fuga da conflitti armati o persecuzioni, sia “migranti economici” in cerca di migliori condizioni di lavoro – inoltre, chi approda in Italia lo fa spesso con la speranza di percorrere la penisola assecondando l’asse dello squilibrio sud/nord, di percorrere l’Italia come rotta per l’Europa. L’immigrazione in Italia è comunque un fenomeno recente che ha cominciato a raggiungere dimensioni significative a partire dagli anni settanta, per poi assumere proporzioni caratterizzanti dopo gli anni duemila.

L’immigrazione è dunque divenuto tema di dibattito politico e culturale in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, così, anche sul piano letterario, lo sviluppo di una letteratura straniera in lingua italiana ha avuto inizio in periodi più recenti.

Un ritardo, questo, anche nel cogliere le opportunità più interessanti che l’incontro culturale offre.

Perché la letteratura migrante rappresenta un’occasione preziosa di messa in discussione storica e letteraria, ma non solo: non si limita a rielaborare criticamente, in forma artistica, i processi relativi al passato né a descrivere quelli di creolizzazione tuttora in svolgimento a livello mondiale. Come una nuova finestra sul nostro cortile che ci apre alla visione da una differente prospettiva, essa offre piuttosto una speranza nuova per il futuro contribuendo a superare la mera individuazione di culture molteplici in Europa in vista di un concreto orientamento sul fronte dell’incontro interculturale. Infatti, nel cogliere gli attuali corsi demografici, antropologici e storico-sociali da un’ottica interna e nel loro stesso dispiegarsi, il lettore può slegarsi dalla sua auto-rappresentazione e diventare oggetto di studio, assieme al proprio contesto sociale, descritto non più da un suo troppo simile, ma da un osservatore esterno, dall'identità profondamente differente: una visione esterna dall’interno che può aiutare a comprendere il diverso e la relazione con esso, descrivendone le problematiche e definendosi, infine, come un possibile aiuto all'individuazione di necessarie soluzioni.

La produzione letteraria degli scrittori migranti si è sviluppata , dunque, a partire dalla fine degli anni ‘80. Secondo Armando Gnisci, importante studioso di letteratura comparata, si possono distinguere tre fasi caratteristiche attraverso un percorso di crescita che va dall’autobiografismo, mediato da altri co-autori, alla conquista di un proprio ed originale linguaggio, fino agli scrittori di seconda generazione.

Se si vuole identificare un momento d'inizio della letteratura migrante bisogna rivolgere il proprio sguardo alla cronaca meridionale di fine anni ottanta. Nella notte fra il 24 e il 25 agosto 1989, a Villa Literno in provincia di Caserta, sei criminali a volto coperto fanno irruzione in una struttura fatiscente dove Jerry Masslo, assieme ad altri trenta, passa la notte. Masslo, sudafricano in fuga dall’apartheid, era atterrato a Fiumicino l’anno prima presentando domanda di asilo politico, istanza subito rifiutata a norma del principio della limitazione geografica. Il giovane decise di rimanere comunque in Italia senza lo status di rifugiato per poi, nel ‘89, trasferirsi in Campania dove lavora come raccoglitore di pomodori durante la stagione estiva. Le condizioni di lavoro sono disumane, ed i soldi concessi dai caporali pochi. Nella notte di agosto, quando i delinquenti intimano loro di consegnare i soldi nascosti fra gli indumenti, Masslo e gli altri si rifiutano: ne scaturisce una colluttazione e Masslo viene ucciso da un colpo di pistola esploso dai malviventi.

Ne seguì un momento di grande partecipazione empatica. Il 7 ottobre dello stesso anno si svolge a Roma una grande manifestazione anti-razzista. In parlamento, intanto, veniva varata la legge Martelli (1990) come tentativo di regolarizzare il fenomeno della migrazione. Il paese stava prendendo consapevolezza d’una realtà fino ad allora ignorata. L’Italia si stava riscoprendo, da Paese di partenza, terra d’approdo.

Enzo Forcella, il 26 agosto ‘89, scrive su La Repubblica: “la verità è che per la prima volta, quest'estate, abbiamo cominciato a prendere consapevolezza di un fenomeno che già da anni sta turbando i sonni delle altre nazioni europee più sviluppate. Dopo essere stati sino all'altro ieri un paese di emigranti ci ritroviamo ora terra di immigrazione, una specie di Eldorado per la gente del Terzo mondo. Il fenomeno è esploso all'improvviso e, come al solito, ci ha colto impreparati. Tanto che al ministero degli Esteri è prevista da sempre una direzione generale per l'emigrazione ma sino all'altro ieri non s'era pensato di estenderne i compiti anche ai problemi dell'immigrazione. Dobbiamo renderci conto dice l'appello antirazzista recentemente diffuso da un gruppo di intellettuali che l' Italia con lo stivale ben affondato nel Mediterraneo è destinato ad essere il paese più permeabile d'Europa ai grandi spostamenti demografici che, con tutta probabilità, caratterizzeranno quest'ultimo scorcio di millennio” (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/08/26/la-prima-volta-della-civile-italia.113e.html).

Nacque un dibattito politico e culturale. In questo contesto si collocano i primi due scritti di questo genere: Dove lo Stato non c’è e Immigrato. Il primo di Tahar Ben Jelloun (più in basso, in una foto di Rori Palazzo), l’altro di Salah Methnani: entrambi scrittori del Maghreb, uno marocchino, l’’altro tunisino, di cultura francese ma che decisero di scrivere sull'Italia e in italiano. Questa prima fase è stata denominata la fase autobiografica. Caratteristiche di questo periodo sono la mediazione linguistica di alcuni co-autori nella stesura dei testi e la loro matrice autobiografica. La presenza di questi curatori italiani atta a “riconvertire” in una lingua corretta la versione originale crea, però, una situazione d’ambiguità all’interno di un rapporto lavorativo non paritetico per via della ovvia differenza di padronanza linguistica.

Ciò che emerge da queste produzioni è, comunque, la condizione drammatica dei migranti, la difficoltà d’inserirsi nel contesto della società italiana, la necessità di comunicare la propria esistenza e affermare il loro diritto d’identità.

Si rivela una situazione di doppio, in bilico fra l’accettazione e il rifiuto della cultura d’appartenenza e della società ospitante.

Vengono così posati i primi mattoni per costruire le fondamenta di una letteratura migrante in lingua italiana che, oltre a concorrere a costruire l'edificio del multiculturalismo, rende possibile un ampliamento dei confini letterari arricchendoli di nuove prospettive e nuovi orizzonti creativi. Questa apertura non si limita però alla mera letterarietà: perché la letteratura non è un mondo altro, distaccato ma è frutto del pensiero dell’uomo, specchio d'una società capace di ampliarne gli orizzonti stantii e aprire lo sguardo al nuovo, l'altro, l'altrove. Un altrove non più spaventoso poiché differente ma – al contrario – fertile perché diverso. Una nuova fonte d’analisi capace di rimettere in gioco un'auto-rappresentazione del sé sociale spingendola a ripensarsi, a valutarsi con la consapevolezza, e la forza, d'esser pronta a intraprendere un percorso di rimodellamento proficuo.

Purtroppo l'interesse mediatico suscitato dal caso Masslo ed il successivo proliferare di autori stranieri in lingua italiana si placò e di conseguenza molte case editrici si disinteressarono al fenomeno. Iniziava la seconda fase. Gli autori, che comunque esistevano e resistevano, alla perdita di visibilità ne guadagnano in libertà. Questi, non più affiancati da co-autori, scrivono direttamente in italiano, nel loro italiano, riuscendo a pubblicare grazie al genuino interesse di alcune case editrici più piccole. La lingua degli scritti può quindi liberarsi di vincoli imposti dal mercato, lasciando libero spazio alla forza innovativa data dall'incontro dell'italiano con la lingua del Paese di provenienza. L'italiano si fa meticcio.

Nella terza fase sono assimilabili gli autori figli di immigrati approdati in Italia negli anni passati. Autori di origini straniere ma nati in Italia, o che vi si sono trasferiti da molto piccoli, e che dunque hanno beneficiato del sistema educativo italiano. Questi si differenziano sostanzialmente dagli autori delle fasi precedenti in quanto padronanza della lingua italiana, ma anche per aver vissuto il contesto e la cultura del Paese in maniera completa. Ciò che li caratterizza è la loro età e, di conseguenza, i temi. Sono scritti di giovani che si confrontano con l'integrazione scissi tra un contesto, quello casalingo, spesso fortemente straniero, ancora ancorato al paese d'origine, e il contesto sociale di tutti i giorni, la scuola, l'università, gli amici, più prettamente italiano. Ricorre spesso quindi la collocazione dell'autore in una posizione difficile, uno spazio sottile che lambisce due culture che, all'occhio di un osservatore esterno, paiono inconciliabili. E' una situazione dolorosa quella che l'autore spesso descrive. L'autore si colloca in uno spazio fra gli spazi, in-between spaces, situazione comune a tutti gli immigrati che vogliono inserirsi in nel contesto locale, spesso schiacciati in una “morsa sandwich” (Kolma Ebri). Si descrivere la condizione propria di chi vive in una stretta tra il ‘non più’ e il ‘non ancora’, una condizione che accomuna e caratterizza una generazione ibrida, in sospeso fra il ‘qui’ della terra ospitante, nella quale non si riconosce, e l’‘altrove’ della patria abbandonata, con la quale, pure, ormai non si identifica. Si sperimenta il conflitto tra la necessità di mimetizzarsi, di confondersi con i maggioritari per non sentirsi emarginato e il desiderio di distinguersi, per continuare a sentirsi se stesso. E’ lo scontro lacerante tra cultura d’origine e quella d’approdo che, se non inserito in un contesto d'integrazione genuina, porta alla rottura.

Ecco, questa condizione è ciò che anche i giovani migranti trentini possono trovarsi ad affrontare, Certamente in maniera meno marcata, ma è per questo che la letteratura migrante, oltre ad essere un campo fertile di soluzioni a problematiche che ancora oggi rallentano il necessario processo d'inserimento sociale di molti, può essere uno strumento utile anche per i nostri di migranti. Ed è per questo che cercheremo, qui ad Altrove Reporter, di proporre - con cadenza mensile - un approfondimento su opere ricollegabili a questo filone senza, però, limitarci alla sola letteratura, perché la migrazione che tutto coinvolge, coinvolge anche l'arte nella sua totalità di sfaccettature. 

Fonti ed approfondimenti:
http://www.maldura.unipd.it/masters/italianoL2/Lingua_nostra_e_oltre/LNO3_26luglio2010/Ellero_4_12.pdf
http://www.cde.unict.it/sites/default/files/07_2008.pdf
http://siba-ese.unisalento.it/index.php/palaver/article/viewFile/12027/10849

Martedì, 14 Febbraio 2017

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