Meno voglia di volare, più paura di cadere

I recenti dati Eurostat rivelano i numeri sui giovani italiani ancora in casa con i genitori, gli eterni “bamboccioni”

Crisi, stereotipi e inerzia politica rappresentano sempre più una zavorra contro l'autonomia giovanile

RIVA DEL GARDA - Da che mondo è mondo noi italiani una vita senza i pranzetti della mamma facciamo fatica a immaginarcela.

Difficile parlare di luogo comune, il ricco repertorio musicale made in Italy rivolto a mammà ne è una lampante dimostrazione. Dalle più conosciute come “viva la mamma” di Bennato alle più inaspettate come quelle scritte e interpretate da gruppi apparentemente più “figli della strada” come i Club Dogo, le canzoni che decantano la figura materna, per noi sacrosanta, sembrano essere diventate fondamentali nella discografia di ogni cantautore italiano che si rispetti.

Questa nostra propensione è altresì comprovata da un altro aspetto, ahimè meno romantico delle canzoni dedicate alle madri, rivelato da una delle solite indagini che sembrano avere l'intento di scuotere le nostre coscienze (e in questo caso anche le nostre budella): quella riguardante il numero di giovani italiani che vive ancora in casa.

Uscita il 24 ottobre, la ricerca condotta da Eurostat propone dei numeri a dir poco sconcertanti. Emerge infatti che circa due terzi degli italiani di un'età compresa tra i 18 e i 34 anni vive in casa con i genitori. Di questi, oltre un quarto dichiara di avere un lavoro a tempo pieno. Tra i 25 e i 34 anni invece, età in cui in si presuppone che chi ha iniziato un percorso accademico abbia portato a termine gli studi e stia muovendo i primi passi nel mondo del lavoro, la media addirittura si alza e vede un italiano su due vivere ancora tra le stesse mura in cui probabilmente è cresciuto.

Questi dati si rivelano ancora più eclatanti se paragonati alle percentuali relative agli altri Paesi europei, di gran lunga inferiori. A fronte del nostro (circa) 66% di giovani adulti tra i 18 e i 34 anni che vive con i genitori, la Germania registra un 42,3%, il Regno Unito un 34,4% la Francia un 34,2%. In Danimarca la media cala vertiginosamente: è solo il 15% della fascia d'età compresa tra i 18 e i 34 anni a vivere ancora nella famiglia d'origine, e solo lo 0,4% tra le ragazze tra i 25 e i 34 anni.

Ci guadagniamo dunque a pieno titolo l'ormai abusato cliché dei “bamboccioni” e la logora nomea di “mammoni”: in Italia la famiglia come istituzione ha mantenuto la sua centralità, e forse questo non ci dispiace nemmeno troppo. Ma non credo che i giovani adulti italiani siano alla totale mercé dei dispositivi culturali che sicuramente li contraddistinguono, credo piuttosto che il primo fra i motivi che li spinge a non abbandonare il nido materno sia uno Stato che ha portato a far coincidere, nella testa dei giovani, il concetto di futuro con quello di precarietà. In un Paese in cui la percentuale dei senza lavoro tra i 15 e i 24 è di quindici punti percentuali superiore alla media dei paesi dell'Eurozona, non è così facile “buttarsi” in un mondo che sicuramente non si presenta come un fornitore di certezze. E non si può certo dire che noi italiani non abbiamo come dote innata “l'arte di arrangiarci”, anzi questo è forse uno dei più azzeccati tra gli stereotipi che ci riguardano.

Oltre che per una reale assenza di possibilità per il futuro di noi giovani, la voglia di uscire di casa e di tentare di costruirci una nostra dimensione è forse inibita da un blocco psicologico e da un senso di smarrimento purtroppo sempre più diffuso tra le nuove generazioni del mondo globalizzato, ma senza dubbio tra queste due realtà vige un rapporto causa-effetto.

Arrivati a questo punto, copiare dai nostri vicini non sarebbe un crimine, anzi: in Francia, Germania, Svezia, Gran Bretagna e in tanti altri Paesi UE vengono destinati sussidi, aiuti e fondi statali per sostenere l'autonomia giovanile, naturalmente con programmi diversi da stato a stato. Prendiamo come esempio la Germania: come forme di sostegno sociale per i giovani offre il Kindergeld (letteralmente soldi per bambini), ovvero un assegno di 190 euro al mese per chi è genitore, disponibile per 300 mesi, c'è poi il BAföG, un prestito d'onore mensile per i giovani che non si possono mantenere durante gli studi universitari; lo studente restituirà il prestito senza interessi quando avrà un lavoro ben retribuito. C'è infine il sussidio di disoccupazione di base Hartz IV, un assegno mensile di 800 euro al mese per chi dichiara il suo impegno nella ricerca di un'occupazione o di partecipare a corsi di formazione professionali.

Per non lasciarvi solo la costernazione provocata da questi dati, vi linko un video sperando almeno di scatenare in voi, per dirla alla De Santis, un riso amaro.

(Chiara Maistri)

Lunedì, 07 Novembre 2016 - Ultima modifica: Mercoledì, 09 Novembre 2016

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