Cartoline da Londra

Al ritorno da Londra Simone scrive un articolo sulle impressioni che la città gli ha lasciato dopo l'incontro con essa e le persone che la vivono

La prima mattina a Londra esco dal nostro hotel in Tavistock square, a due passi da UCL e dal quartiere universitario, deciso a trovare un bar in cui fare colazione con una brioche e un caffè che assomigliasse il più possibile ad un espresso. Dopo aver superato almeno 5 bar appartenenti alle 2/3 catene che si dividono il mercato delle colazioni a Londra (Starbucks, Caffè Nero, Costa) ne trovo uno che mi ispira; è piccolo, con i tavolini in legno all'esterno e quella luce calda e soffusa all'interno che mi ricorda i bar in cui perdevo coscientemente tempo la mattina prima di entrare in università. Decido di entrare e ordino un caffè e una brioche al cioccalato ”Hi a coffe and a chocolate croissant please” dico alla ragazza dietro al bancone, lei si mette subito al lavoro e mentre sto ancora cercando di capire quanto valgono le monete che ho in tasca, difficoltà questa che mi accompagnerà per tutta la settimana, mi trovo davanti ad un sacchetto e un bicchierino sigillato sospesi sopra al bancone del bar. Momento di incomprensione, la ragazza inclina la testa con un aria interrogativa non capendo il mio disappunto “Uuugh no I want to take it here” dico col mio inglese zoppicante “Oh ok no problem at all” mi risponde lei stupita, versando il contenuto del bicchierino in una tazzina e porgendomi la brioche su un piatto. Mi siedo apro una bustina di zucchero e penso a quanto sia diverso dall'Italia un posto in cui devo specificare che il caffè me lo voglio bere seduto al bar e non camminando o sulla metro.

Perchè Londra ha un tempo diverso a quello a cui ci si abitua in Italia, più frenetico, sulle scale mobili della metro le persone si dispongono su 2 file: a destra quelli che non hanno fretta aspettano che le scale li portino fino al piano inferiore o superiore, mentre alla loro sinistra sfrecciano veloci quelli che di tempo da perdere proprio non ne hanno, magari perché devono andare ad un appuntamento di lavoro importante, “e qui se hai una riunione alle 11:00 alle 11 e zero zero iniziano mica ci si va a prendere il caffè e si continua poi a pranzo” ci racconterà Aurelio durante la sua intervista, magari perché le distanze che devono coprire tra casa e lavoro vanno dai 45 minuti fino all'ora e mezza e perdere una metro può significare perdere poi il treno per il quartiere abitativo in periferia e ritardare il ritorno di molto.

A Londra non si corre solo per andare a lavoro, si corre anche nel lavoro: “quando sono arrivato qui 3 anni fa facevo 2 lavori” ci dice Nicola “il pomeriggio stavo da Benetton in magazzino fino alle 19, poi dopo una pausa attaccavo da Zara fino alle 7 del mattino dove mi occupavo della messa in ordine dei piani prima dell'apertura ai clienti”. Nicola è arrivato a Londra 3 anni fa, da allora è stato promosso venditore ai piani, poi ha lavorato per Armani e adesso è un venditore per Omega, la sua storia è unica eppure non diversa da quella di tante altre persone che abbiamo incontrato: ciò che li accomuna è quella sensazione di progredire costantemente nella loro carriera lavorativa, una sorta di indefinita fiducia nel futuro unita al riconoscere i personali passi avanti fatti e le abilità apprese lavorando.

Ciò è possibile grazie a molti fattori, a Londra c'è sicuramente un mercato ricco, in costante espansione, non importa il settore, e in cui le normative per imprese e società sono più leggere con procedimenti burocratici molto più semplici degli iter presenti in Italia, ma non è tutto qui è proprio la mentalità ad essere differente “La prima cosa che mi hanno insegnato qui a Londra quando ho iniziato a cercare lavoro è stata di togliere la mia età dal CV” ci teneva a dirci Daniele quando l'abbiamo intervistato a Bankfriars, in un pub sulle sponde del tamigi di fronte alla City dove lavora, “qui non interessa a nessuno quanti anni hai, e in un certo senso nemmeno cos'hai studiato perché poi il lavoro si impara, sono più preoccupati di scoprire se sai lavorare in team, quali strategie di problem solving sai applicare e quali sono le tue motivazioni”.

La ricerca di un lavoro appagante, l'identificazione con esso e con le gratifiche che ciò può dare ad una persona mi sembrano al centro delle motivazioni che hanno spinto e spingono molte persone a partire e rimanere a Londra “Ne ho bisogno” ci dice Federica, docente di E-Learning e Mobile-Learning presso la Westminster University, “perchè se non le avessi non avrebbe senso vivere qui. 

Un termine che molti degli intervistati hanno usato, facendo fatica a tradurlo in italiano è stato improve, che si traduce come migliorare, ma esso contiene la radice prove (provare) e in inglese sembra più significare un miglioramento fatto di un reciproco provare di saper fare ed essere messi alla prova, stimolati con nuove sfide, elemento questo che sembra essere fondamentale nelle motivazioni che tengono qui le persone. infatti la città non è priva dei suoi lati negativi.

Delle grandi distanze si è parlato in precedenza, ma non sono l'unico probloema di vivere a Londra: durante le interviste alle persone abbiamo spesso chiesto loro cosa mancasse di più di Riva e dell'Italia, spesso la risposta è stata “Il Sole e il suo calore”, i nostri primi giorni a Londra sono stati fortunatamente molto pieni di sole e di calore (per essere a febbraio) e non ho quindi capito a cosa si riferissero fino alla mattina del terzo giorno quando ci siamo recati al Portobello Market e siamo stati accolti da un cielo grigio e da un vento freddo e graffiante che ci ha costretti a rifugiarci in un bar e che ha detta dei nostri migranti è il tempo più comune a Londra.

Il mercato di Portobello apre ad un altro dei punti critici della città, la ricerca di autenticità.

A Londra quasi tutto sembra far parte di una catena: non importa che sia italiano, francese, americano, thailandese o giapponese il cibo che si sta mangiando in un posto sta sicuramente venendo cucianto e servito allo stesso modo nello stesso momento in un altro punto della città, Mcdonalds, Burger King, WoktoWalk, Pret a Manger, le catene sono ovunque e trovare del cibo autentico senza dover andare in un costoso ristorante è molto difficile.

La stessa cosa vale per i negozi, ma essi sono sintomo di un problema più grande: il costante arrivo di catene e franchising svuota la città di gestori locali facendo correre il rischio di diventare niente di più che un gigantesco centro commerciale.
Emblematico da questo punto di vista è Camden Town che, avendo ormai perso la sua natura di quartiere punk e di occupanti dei decenni scorsi, è praticamente diventata un monuemento ad un tempo che non esiste più ed in cui i prodotti venduti nelle piccole botteghe non si differenziano molto provenendo più o meno dalle stesse catene.

A riscattare questo eterno ritorno della merce e delle vetrine ci sono però i market: famoso quello di Portobello, dove per la prima volta in una settimana abbiamo potuto mangiare qualcosa di autentico (per la precisione una paella meravigliosa preparata da alcuni ragazzi spagnoli in mezzo alla strada del mercato), fantastico quello di Bricklane dove ci ha portato il nostro ultimo giorno Tristan “questo prima era, ed è ancora in parte, il quartire Bangladesh di Londra, ma sta subendo un radicale cambiamento” camminando per le sue strade e osservando l'alternarsi di bancarelle e locali alla moda ci si può rendere conto di come il processo di gentrificazione sia già in atto, ciononostante il quartiere è una bellissima enclave di artisti, musica e colori che strappa ancora questo pezzo di città alla frenesia edilizia che ha colpito Londra in questi anni.

Londra infatti, come i suoi cittadini, corre, è in costante espansione, il boom di persone che vengono a Londra per lavoro o studio ha fatto salire alle stelle i prezzi degli affitti e resa necessaria e redditizia una costante creazione di nuovi alloggi, si nota comunque che se i prezzi delle case sono alti lo stesso vale anche per gli stipendi.

Finita la nostra settimana a Londra, tornato a Trento, non riuscivo a smettere di pensare ai miei obiettivi nella vita, quelli vicini e quelli più lontani, come se l'influsso datomi dalla vita londinese non mi avesse abbandonato una volta tornato, chi è partito con la voglia di stare e costruire la sua vita lì mi sembra abbia accettato questo trade off tra la qualità del lavoro e quelle di un ambiente in cui si va di fretta, in cui il tempo sembra non bastare mai per le cose che si vorrebbero fare e vedere e in cui il sole non è così scontato come qui nel bar di Riva dove sto scrivenndo, seduto, con il mio caffè.

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Venerdì, 18 Marzo 2016 - Ultima modifica: Mercoledì, 06 Aprile 2016

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