Il “peso piuma” dei giovani
In occasione del Festival della Famiglia, è stato presentato a Palazzo Trentini di Trento “Crescere in Trentino”, il nuovo rapporto sulla condizione giovanile in Trentino. Fra un poco oleato cambio generazionale, un processo di degiovanimento della popolazione e un calante tasso di fecondità, confronto tra situazione italiana e europea

In occasione del Festival della Famiglia, è stato presentato a Palazzo Trentini di Trento “Crescere in Trentino”, il nuovo rapporto sulla condizione giovanile in Trentino. Fra un poco oleato cambio generazionale, un processo di degiovanimento della popolazione e un calante tasso di fecondità, confronto tra situazione italiana e europea
RIVA DEL GARDA - “Vorrei che smettessimo di guardare al futuro dei giovani come tutto nero e che ce lo immaginassimo come una pagina bianca da scrivere nel miglior modo possibile”.
Introduce così l'Assessora all'Università e Ricerca, Politiche giovanili, Pari opportunità, Cooperazione allo sviluppo Sara Ferrari, un rapporto che dai dati ci mostra un Trentino che è sì qualche passo avanti alla media italiana , ma che non si svincola pienamente dalle tendenze (spesso preoccupanti) in cui versa la condizione giovanile. Vediamone alcune.
Dispiace scomodare Cormac McCarthy, ma dobbiamo prenderne atto: l'Italia è un Paese per vecchi. Dirò di più, il Bel Paese si attesta l'infelice primato di Paese più vecchio d'Europa.
A fronte di una media europea che ruota attorno al 17% di giovani tra i 15 e i 29 anni sul totale della popolazione, l'Italia registra un 15,2%, ultima in classifica dopo Spagna, Grecia e Portogallo. Si parla infatti di “peso piuma” quando ci si riferisce alla realtà giovanile, realtà su cui si punta e investe sempre meno, e ciò ha delle ripercussioni gravi: la visibilità dei giovani viene meno e con lei la rappresentatività delle loro istanze che, non di rado, coincidono con il futuro.
A dare la stura a questo fenomeno definito di “degiovanimento”, che riguarda l'Europa tutta, il (sempre più) basso indice di fertilità e di fecondità dei paesi e l'incalzante fenomeno di emigrazione giovanile, che sta depauperando l'Italia delle sue più preziose risorse e mettendo a repentaglio lo sviluppo e l'avvenire del Paese. Nonostante l'ineludibile processo di invecchiamento della popolazione, l'Italia, almeno per quanto riguarda il tasso di fecondità (ovvero il numero medio di figli per donna in età feconda, dai 15 ai 49 anni) non si colloca proprio come fanalino di coda nella classifica europea. Dietro di sé ha ben cinque nazioni: Spagna, Polonia, Cipro, Grecia e Portogallo.
Interessante è notare l'andamento irregolare, del tasso di fecondità, dagli anni '60 fino a oggi: nel 1960 la media italiana era di 2,37 figli per donna (in Francia era di 3,78), negli anni '80 di 1,64 e nel 2000 di 1,26;al 2014 le donne italiane hanno in media 1,37 figli (dato Eurostat).
Dati eloquenti, che mostrano chiaramente il rapporto di dipendenza tra il grado di fecondità di un paese, le condizioni economiche e il welfare dello stato in questione. I Paesi europei più fecondi sono Francia, con una media di 2,01, seguita da Irlanda, Islanda e Svezia.
O in fondo alle graduatorie, o in cima: le donne italiane sono le più tardive d'Europa a procreare, si stima che in media facciano un figlio all'età di 30,7 anni; le più precoci sono invece le albanesi, il cui “orologio biologico” inizia a ticchettare più forte verso il 25esimo anno d'età.
A mali estremi, estremi rimedi.
Per trovare una soluzione all'incombente problema del calo delle nascite, infatti, ci si inventa di tutto: non è questa la sede per parlare dell'idea del nostro Ministro Lorenzin a cui è venuto in mente di promuovere il “Fertility Day”, una campagna il cui scopo iniziale era quello di far riflettere la gente sulla questione, e che ha finito per offendere parte della popolazione femminile italiana. Chi ha avuto più fantasia in questo caso, (nonostante non si posizionasse così in basso rispetto agli altri paesi europei in quanto a natalità) è stata la Danimarca, che ha ideato e proiettato su tutte le tv nazionali una serie di spot dal nome “Do it for mum” con lo scopo di invitare i giovani a fare figli (che personalmente mi ha lasciata un po' perplessa), e che a quanto pare ha riscosso un certo successo.
C'è da dire però che le ragioni del calo delle nascite per quanto riguarda Italia e Danimarca sono da ricercare in sedi diverse: con buona probabilità le famiglie italiane desistono dal fare figli per ragioni economiche, dubito che quelle danesi condividano lo stesso problema.
Link dello spot:
Restringendo il campo, spezzo una lancia a favore del Trentino e dell'Alto Adige che da questo scenario escono abbastanza a testa alta.
All'1 gennaio 2016, la popolazione residente in Provincia di Trento di una fascia d'età compresa tra i 15 e i 29 anni è pari al 15,5% sul totale, superiore rispetto a una media italiana del 15.2%, ma comunque di gran lunga inferiore a quella europea di 17,5%.
La fascia di popolazione più cospicua è invece quella tra i 45 e i 49 anni, che rappresenta l'8,1% del totale dei cittadini, trentini come italiani; a seguire la fascia 50-54, quasi l'8% degli abitanti, e quella 55-59, che raggiunge circa il 7%.
Secondo una ricerca Istat riferita al 2015 ma resa disponibile pochi giorni fa, sono infatti Bolzano e Trento le province italiane più fertili d'Italia: nella provincia di Bolzano ogni donna ha in media 1,7 figli (2,42 le straniere e 1,62 le italiane) mentre in quella di Trento è di 1,56 (2,25 le straniere e 1,44 le italiane), pienamente in linea con la media europea di 1,58 figli per donna.
“Il Trentino è un po' meno vecchio del resto d'Italia, - spiega Arianna Bazzanella, ricercatrice all'Osservatorio sulla condizione dell'infanzia e dei giovani della Provincia di Trento e coordinatrice del rapporto “Crescere in Trentino” - l'età media è quella di 43 anni ed ogni 100 ragazzi ci sono 142 anziani. Il contesto lavorativo però per le nuove generazioni è sempre più inospitale, - prosegue – ai giovani non vengono infatti fornite tutele relative al mondo del lavoro. In più, come ci ha suggerito Paolo Rubino, coordinatore di ricerca sulla valutazione dei sistemi educativi trentini, la spesa per la formazione di ogni giovane in Italia è pari al costo di una Ferrari. Eppure, i giovani che si formano qui spendono le loro conoscenze altrove, in un posto in cui le competenze acquisite hanno un valore, dunque l'investimento iniziale si rivela essenzialmente un investimento a vuoto.
A fronte di questi dati l'Italia, che dovrebbe considerare il capitale giovanile come la risorsa indispensabile per il proprio futuro anche perché rara, non sembra agire in quella direzione. Non più in grado di mantenere e neanche di far tornare i giovani emigrati, sta facendo un vero e proprio buco nell'acqua: sta letteralmente perdendo il patrimonio demografico del domani.
(Chiara Maistri)
Venerdì, 09 Dicembre 2016